Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 17 dicembre 2011

P. Serafino Lanzetta e l'Anno della Fede a 50 anni dal Concilio. Tra ermeneutiche in conflitto.

L'ultimo Editoriale di «Fides Catholica» 2 (2011), in uscita, riporta un nuovo articolo di Padre Serafino Lanzetta FI, dal titolo Un Anno della Fede a 50 anni dal Concilio. Tra ermeneutiche in conflitto

Il documento, acquisito anche tra quelli basilari nella colonna di sinistra del Blog, è consultabile attraverso il link. Ritengo sia interessante e utile illustrarne ed estrarne alcuni punti fondamentali, perché oltre ad essere molto centrato sulla problematica dei conflitti di interpretazione dei testi conciliari, ormai non più ignorabili, costituisce un'evoluzione della riflessione sulla vexata questio, consentendone l'ulteriore dipanarsi proprio in vista dell'Anno della Fede indetto da Benedetto XVI per il 2012, collegato - tra l'altro - idealmente con le celebrazioni per il 50 anniversario di apertura della 21ma Assise conciliare.

Viene riproposto il binomio della dottrinarietà e pastoralità, tipico del Concilio, che presenta la difficoltà di non essere sempre esplicito e dal quale nasce la necessità e anche la problematicità nonché i fraintendimenti connessi alla indispensabile ermeneutica. Padre Lanzetta evidenzia che il problema ermeneutico del Vaticano II implica 3 aspetti distinti:
  1. nel concilio ci sono delle dottrine nuove;
  2. queste sono uno sviluppo e/o ri-forma delle dottrine classiche;
  3. il grado dell’asserto magisteriale delle dottrine conciliari.
È per questo che si pone il problema di coordinare continuità e discontinuità. Non si mette in discussione l’autenticità del 21° concilio della Chiesa rispetto ai 20 precedenti, data come presupposta, ma viene reso esplicito il vero problema: in che modo il magistero del Vaticano II si colloca in continuità con quello precedente? Dove si coglie la continuità? Grazie a Mons. Gherardini e alle sue puntualizzazioni sapienti e "di scuola", si deve arrivare ad escludere la soluzione imposta finora di garantire la continuità attraverso le asserzioni conciliari identificate tout court come magistero solenne. Si tratta della posizione di P. Giovanni Cavalcoli e, di recente, di don Pietro Cantoni e di molti esponenti della cultura egemone (cfr. anche i più recenti dibattiti sul tema che coinvolgono anche - ma non solo - la FSSPX). Il magistero diventa così ragione di se stesso; il che non rende ragione delle effettive “riforme” del Vaticano II. E allora, basta esporre una nuova dottrina o invece è necessario radicarla nella Tradizione della Chiesa?

Siamo al “cuore” del problema: coordinare continuità e discontinuità secondo livelli differenti, in modo da leggere una nuova dottrina insegnata dal medesimo soggetto. È proprio qui  che P. Lanzetta coglie il nodo essenziale e formula un completamento del discorso introducendo un elemento interessante:
«la continuità è assicurata dall’unico soggetto che insegna, il magistero, che però non si identifica con la Chiesa e con l’infallibilità totale di essa, rimanendo questa più ampia e includendo ad esempio il sensus fidei del Popolo credente, dunque un’infallibilità in credendo che precede e fonda quella in docendo. È necessario radicare in modo assoluto, oggi più che mai, l’infallibilità del magistero, nelle Verità credute infallibilmente per mezzo della fede, per evitare di scadere in una visione meramente “burocratica”, in cui il soggetto docente diventerebbe l’ultima ragione del porsi della verità stessa. Ci sarà sempre un Küng che potrà inveire contro il monopolio del “potere romano”, dimenticando che la gerarchia è un’origine sacra, scende dall’alto quale munus, ministero, servizio alla Verità».
Dobbiamo esplicitare a questo proposito che il presupposto metafisico dell'affermazione è contenuto nel principio di Vincenzo da Lerino, Commonitorium 23: “Nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus habebitur religionis? Habeatur plane et maximus. [...] Sed ita tamen, ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio. Siquidem ad profectum pertinet, ut in semetipsum unaqueque res amplificetur, ad permutationem vero, ut aliquid ex alio in aliud transvertatur. Crescat igitur oportet et multum vehementerque proficiat [...] intelligentia, scientia, sapientia, sed in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eademque sententia”, in; Migne, t. 50, col. 667 e ss

La comprensione e la esegesi del mistero rivelato cresce di continuo anche nella cognizione dei fedeli. Però, il progresso=profectus esplicita, approfondisce ed amplifica l’apprendimento sempre nel rispetto del vincolo di quanto appartiene al dogma, custode fedele e permanente della verità rivelata che, dunque, deve essere presente riconoscibile e riconosciuta nella sua genuità in ogni momento del percorso storico dell'insieme dei docenti e dei credenti. Vale a dire che l'affermazione è giustificata non in sé, ma dalla corretta applicazione del suddetto principio: l'infallibilità in credendo precede e fonda quella in docendo solo nella misura in cui sono entrambe riflesso del Dogma, a sua volta fondato nella Rivelazione originaria, altrimenti si potrebbe cadere nel soggettivismo o nel convenzionalismo. Il dramma sta tutto nello sganciamento, operato dal concilio, del munus docendi da quello dogmatico.

Sono presi ora in considerazione questi due punti:
  1. la nuova forma che assume il magistero nell’ultimo Concilio: un magistero fontalmente pastorale. Infallibile quando? Sempre, o non piuttosto solo quando reitera il dato di fede definitivo? Un magistero solenne/straordinario quanto alla forma ma ordinario autentico quanto all’effettivo esercizio;
  2. i nuovi contenuti, le nuove dottrine. Negare infatti che ci siano delle dottrine nuove e che siano una ri-forma rispetto a quelle di prima, significa non vedere il Vaticano II. Il magistero può insegnare delle dottrine nuove, ma non per il fatto che le insegna sono (automaticamente) infallibili. Non infallibili poi non significa per sé erronee, ma solo non definitive. La non-infallibilità è un giudizio di valore sul grado magisteriale di cui è rivestita (dal magistero) la dottrina insegnata. L’errore è un giudizio logico che si dà ad una proposizione quanto alla sua conformità o meno al vero. Confondere errore (molto spesso tradotto con fallibilità) con non-infallibilità è un’operazione contraria alla logica e alla teologia.
Segue l'articolato esame e valutazione del metodo e dei contenuti confutativi di don Pietro Cantoni nei confronti di Mons. Gherardini, che approfondiremo nel dettaglio nella seconda parte, che seguirà.

36 commenti:

Anonimo ha detto...

Lumen Gentium 12 è in continuità o fa un discorso un po' avvitato su se stesso?

"...La totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » [22] mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita...."

Anonimo ha detto...

Non vedo nulla di contorto, se non ci si ferma alla prima frase. Perché mi sembrano sufficienti le garanzie espresse in seguito: "guida del sacro magistero" (anche se non sembra ci sia intesa su qual è) e il sostegno dello "Spirito di verità".

Tuttavia un piccolo 'distinguo' a questo punto lo faccio su quel verità con l'iniziale minuscola (verificata minuscola anche nell'originale latino), tenendo conto che identifichiamo la Verità con la Persona del Signore...

DANTE PASTORELLI ha detto...

Un esame limpido, quello di p. Lanzetta, che ci conferma come il Magistero debba trasmettere, approfondendolo se necessario ma senza alterazioni, il dato della Sacra Tradizione e come il livello di assenso sia condizionato al livello dell'insegnamento.
Anche per quel che riguarda le dottrine nuove si ribadisce quel che da sempre diciamo: il Vaticano II, che non dogmatizza le nuove dottrine, è autoreferenziale, in quanto la gerarchia le vuole imporre giustificandole con le stesse parole del concilio, senza dimostrare il loro radicamento nel Magistero precedente. E' un girare a vuoto per mancanza di soddisfacenti argomentazioni. L'equivoco del magistero ordinario autentico e di documenti discorsivo-teologici e mai sfocianti in canoni.

Luciana Cuppo ha detto...

A proposito del "discorso un po' avvitato su se stesso" (Anonimo delle 19:06): rileggere Gherardini in 'Chiesa-Tradizione-Magistero' (link qui nella colonna di sinistra) sullo "spirito di verita", che non sembra essere tale nell'originale del vangelo di Giovanni.

don Camillo ha detto...

Che dire del Serafico Lanzetta, eccezionale! (invito a leggete tutto il contributo)

Ha stroncato il disperato don Cantoni (e quindi padre Cavalcoli), in un modo elegante e puntale (cosa che non ha fatto il Cantoni con l'ottimo Gherardini).
La tesi di Cantoni secondo cui quando c'è contraddizione o non continuità tra il Magistero pre e post, si risolve tutto dicendo semplicemente che il Magistero vaticanosecondista difforme, non è difforme perchè in realtà questo tipo di Magistero:

"è di carattere carismatico, non “epistemico”, è la sua stessa proposizione che garantisce della sua continuità con la Tradizione, perché è essa stessa componente e componente costitutiva e formale di questa stessa Tradizione, e costituisce quindi per il teologo un fatto a partire dal quale condurre la sua indagine".

riporto poi il seguito di Lanzetta:

"Questa affermazione è del tutto nuova. Significa scindere nell’organo magisteriale il soggetto docente dall’oggetto dell’insegnamento, sia materiale che formale. Se la si esaspera si potrà arrivare a trarre dal magistero ogni possibile conclusione. Il magistero stesso non sarà più vincolato da res fidei et morum e potrebbe diventare fautore anche di una nuova Rivelazione. Il che è impossibile. Nel magistero ecclesiastico bisogna considerare unitamente e distintamente: il soggetto attivo che insegna (il Papa e il Collegio dei vescovi), l’oggetto materiale (la verità rivelata) e l’oggetto formale (l’autorità del magistero, che ammette diversi gradi). Dei Verbum al n. 9 precisa i confini del magistero, che non sono dati da se stesso, ma dalla Scrittura e dalla Tradizione:

«Il … magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio».

Questa visione “carismatica” del magistero favorisce in Cantoni anche il tentativo di dedurre dal Vaticano II, come teologi privati o come fedeli, delle conclusioni irrinunciabili (infallibili), o almeno una dottrina «davanti alla quale non si può assolutamente escludere a priori che qualcosa sia infallibile». Cosa sia infallibile Cantoni non lo dice. Dice però, col sostegno del p. U. Betti, che,

«mentre a Trento e al Vaticano I i capitoli trovavano per lo più (ma non sempre…) nei canoni la conclusione perentoria del loro discorso, qui questa formulazione – che sarebbe infallibile in se stessa nella sua propria formulazione – manca per dichiarata scelta dell’autorità. Nulla però impedisce che una tale conclusione venga tirata dal teologo e dal fedele»." (fine citazione).

Che dire: preciso e puntuale.

Anonimo ha detto...

Grazie, cara Luciana.
Nel mio piccolo avevo già avvertito un "campanello di allarme"...
Riporto le limpide parole di Mons. Gherardini:

Qualche parola, invece, occorre dire sul secondo, ovvero sull’assistenza dello Spirito Santo. Il procedimento sbrigativo oggi invalso è più o meno il seguente: Cristo promise agli Apostoli, e quindi ai loro successori, val a dire alla Chiesa docente, l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza per un esercizio del munus docendi nella verità; l’errore è dunque scongiurato in partenza. Sì, Cristo fece una tale promessa, ma indicò pure le condizioni del suo avverarsi. Se non che, proprio nel modo d’appellarsi alla promessa se ne intravede una grave adulterazione: o non si riportan le parole di Cristo, o qualora vengan citate non si dà loro il significato che hanno. Vediamo di che cosa si tratta.

La promessa è riferita soprattutto da due testi del quarto evangelista: Gv 14,16.26 e 16,13-14. Già nel primo risuona con estrema chiarezza uno dei suddetti limiti: Gesù infatti non si ferma alla promessa de “lo Spirito della verità” – si noti questo corsivo, dovuto all’articolo specificativo tes, che in alto ed in basso si continua a tradurre di, come se la verità fosse un optional dello Spirito Santo, che invece la impersona -, ma ne preannuncia la funzione: riporterà alla memoria tutto quanto Lui, Gesù, aveva prima insegnato. Si tratta, dunque, d’un’assistenza conservativa della verità rivelata, non d’un’integrazione in essa di verità altre o diverse da quelle rivelate, o presunte come tali.

Il secondo dei due testi giovannei, confermando il primo, scende ad ulteriori precisazioni: lo Spirito Santo, infatti, “vi guiderà a tutta la verità”, anche a quella che ora Gesù tace, perché al di là e al di sopra della portata dei suoi (16,12). Nel far questo, lo Spirito “non parlerà per conto suo, ma dirà tutto quello che ascolta […] prenderà del mio e ve lo comunicherà”. Dunque non ci saranno ulteriori rivelazioni. L’unica si chiude con coloro ai quali Gesù sta ora parlando. Le sue parole si presentano con un significato univoco, riguardante l’insegnamento da Lui impartito e soltanto codest’insegnamento. Un linguaggio, questo, non criptato o cifrato, ma limpido come il sole. Si potrebbe sollevar un’obiezione sulla prospettiva d’apparente novità in relazione a quello che, ora taciuto da Gesù, verrà annunziato dallo Spirito Santo; ma la delimitazione della sua assistenza ad un’azione di guida verso il possesso di tutta la verità rivelata da Cristo esclude novità sostanziali. Se novità emergeranno, si tratterà di significati nuovi, non di verità nuove; donde il giustissimo “eodem sensu eademque sententia” del Lerinense. Insomma, la pretesa d’agganciar all’assistenza dello Spirito Santo ogni stormir di fronda, voglio dire ogni novità e segnatamente quelle che commisurano la Chiesa sulle dimensioni della cultura imperante e della c. d. dignità della persona umana, non solo è un capovolgimento strutturale della Chiesa stessa, ma è pure un gran segno di croce sui due testi sopra indicati.

Anonimo ha detto...

leggendo....
se mi permettete, espongo, come semplice lettrice, una piccola notazione di tecnica comunicativa (che riconosco sempre ottima in questo blog, per chiarezza di eloquio, profondità e completezza di informazioni e riferimenti).
Il titolo del post indica nell'intervento di P. Lanzetta un'apertura quasi ad una strada nuova, non ancora percorsa nella querelle, un'uscita insperata finora, che sembra offrire ai semplici lettori in attesa, cioè mi riferisco a questo:
"tra ermeneutiche in conflitto"
questa frase mi pare che apra al lettore l'aspettativa di una posizione che voglia risolvere il conflitto....o mi sbaglio ?

ora, uno che sia digiuno di basi culturali teologiche, ma animato da volontà di capire l'ESSENZIALE nell'acceso dibattito apertosi nella Chiesa, nel leggere questo discorso, spera di trovare in P. Lanzetta (presentato come uno che sta in mezzo, TRA DUE visioni conflittuali, come il "terzo che gode") una soluzione definitiva al conflitto; quasi "l'uovo di Colombo", o mi sbaglio ?
Abbiate pazienza con una lettrice piuttosto ignorante e "non addetta" alle materie teologiche, di fronte alle quali ho dei grossi limiti intellettuali.
Vorrei solo che qualcuno mi spiegasse appunto questo: l'elaborazione di P. Lanzetta approda o no ad una soluzione al dilemma ? cioè:
trova una strada decisiva per chiarire
- se il concilio V. 2° è davvero un atto (o serie di atti) di Magistero
- se è un Magistero che rispetta la continuità con quello di sempre.
Vi chiedo scusa per l'inadeguatezza del mio linguaggio, e se ho esposto un quesito troppo semplicistico; il fatto è che ritengo che il semplice fedele abbia tutto il diritto di capire se questo concilio sia un UFO di cui non capiremo mai la natura, o si possa chiedere e otttenere dallo Spirito Santo l'aiuto decisivo per qualificarlo per quello che è, al di là e oltre le interminabili discussioni, e di dire, possibilmente alla fine (tra tot anni....) una cosa molto semplice:
se sia un evento di natura BUONA o CATTIVA.
Grazie a tutti

Una lettrice

Luciana Cuppo ha detto...

Grazie, Mic, per aver riportato il passo in questione; e grazie a don Camillo per i suoi commenti sul saggio di Padre Lanzetta, che scrive fra l'altro:
"[Quest'affermazione di don Pietro Cantoni riguardo al carattere carismatico del Magistero] significa scindere nell'organo magisteriale il soggetto docente dall'oggetto dell'insegnamento."
L'affermazione suddetta non vi rammenta vagamente la logica dei fautori della beatificazione di Giovanni Paolo II, per i quali si beatificava l'uomo Karol Wojtyla, non il Papa Giovanni Paolo II, perche' la persona di Karol Wojtyla va disgiunta dagli atti del suo magistero?

don Camillo ha detto...

Sì Luciana, grazie per la precisazione, io mi domando solo del perchè questi EX-Lefevbriani che avendo aderito con grandissimi sacrifici, dando testimonianza di grande coraggio, oggi si ritrovano tra le fila di coloro che hanno perso la "fede" nella "Ragione".

Modernisti in pizzi e pianete!!!

DANTE PASTORELLI ha detto...

Cara LETTRICE,
non so se i teologi troveran mai la quadra. Né so se il Papa, e quale Papa, vorrà dar una risposta definitiva ai problemi che i testi del concilio, del magistero successivo e della prassi da essi scaturita han prodotto in abbondanza.
Io la mia strada l'ho trovata, sino a pronuncia del magistero infallibile: il Vaticano II presenta dottrine nuove che non trovan riscontro nella Tradizione. Come concilio pastorale, non avendo dogmatizzato queste dottrine, non mi sento vincolato se non lì dove ribadisca il magistero perenne. Vaticano II, insomma, tamquam non esset o quasi.

Anonimo ha detto...

Io mi trovo nella identica posizione morale e spirituale di Dante e, più approfondisco, più mi accorgo che i testi dei documenti conciliari sono disseminati a piene mani, oltre che di ambiguità, eccezioni divenute regole, anche di vere e proprie dissonanze che, a lume di discernimento, 'stridono' immediatamente col mio 'sensus fidei'.

Ne è un esempio la riflessione scaturita dalla domanda del primo Anonimo, che ha suscitato il mio ulteriore approfondimento su LG 25, che formerà oggetto di un prossimo articolo, in sostituzione della seconda parte di questo sullo scritto di p. Lanzetta, che è stata ampiamente anticipata da Don Camillo ;)

Giampaolo ha detto...

Grazie per l'interessante contributo di P. Lanzetta.

Illuminante per me è stata la distinzione (affiorata anche altrove) tra infallibilitas in docendo e in credendo. Nel CVII e nei suoi difensori si fa appello sempre al carattere formalmente vincolante che deriva dal soggetto del Magistero, disattendendo regolarmente l'altro aspetto sostanziale della questione che è appunto quello dell'oggetto.

Conferma di questo formalismo di massima, che P. Lanzetta definisce "visione burocratica", si ha nel tipo di discussioni che nascono su questo terreno, sempre viziate ed avvitate sull'ambito della procedura e delle definizioni, intese però in senso quasi nominalistico.

Detto molto più semplicemente, il soggettivo domina sull'oggettivo, e questo dominio si è creato "sacralizzando" il Magistero staccato dalla Tradizione di Cui Quello doveva essare servizio e strumento. Una sorta di dittatura del metodo, secondo lo spirito moderno.

Giampaolo

Anonimo ha detto...

Per la Lettrice piena di aspettative che pensava di trovare l'uovo di colombo nello scritto di P. Lanzetta.

Una questione così complessa e che ha prodotto lacerazioni e devianze non è di immediata né di facile soluzione.

Tuttavia, uesto contributo di p. Lanzetta, insieme alla prosecuzione dell'analisi e di ogni nuova sintesi su quanto stiamo affrontando, mettendo in luce e approfondendo, contribuisce fattivamente alla sempre ulteriore individuazione e presa di coscienza dei problemi e fornisce, nel contempo, anche le chiavi risolutive.

Ma la concretizzazione del tutto in una definitiva autoritativa e chiara opera definitoria è solo nelle mani del Santo Padre.

Il problema è che i Papi, a partire da Giovanni XXIII, si sono autoimposti di non definire nulla. Di fatto, è proprio questa la novità più sensazionale del V2, che continua a provocare guasti e disorientamento...

Anonimo ha detto...

Una sorta di dittatura del metodo, secondo lo spirito moderno.

Grazie, Giampaolo, il soggettivismo e comunque l'antropocentrismo è dominante nei documenti conciliari. Anche in queste pagine ne sono stati dati diversi esempi (a partire da Gaudium et Spes).

A proposito di "dittatura del metodo", mi induci a richiamare l'attenzione su questa precedente riflessione in ordine al problema metodologico dell'approccio e sul documento che l'ha nutrita, messo a disposizione tra quelli fondamentali.

Anonimo ha detto...

Ottimo P. Lanzetta, come sempre. Chissà come ci sono rimasti male in casa "Alleanza Cattolica" visto che il nuovo "testo sacro" di don Cantoni viene consigliato come la chiave "per interpretare il Concilio come vuole il Papa" (o come vuole Introvigne?)

Giampaolo ha detto...

Tra l'altro, a suffragio di quello che scrive a proposito di prassismo conciliare il Prof. Turco, e che altrove è stato definito come il sostituirsi dell'ortoprassi all'ortodossia, posso segnalare che l'enfasi pastorale rispetto alle prassi ha un riflesso filosofico immediato che è il fiorire delle "etiche" in ogni ambito.

Noto cioé che a partire dalla bio-etica, passando per la neuro-ethics e ora la robo-ethics (ma ce n'è di ogni tipo), mai come ora vi è una letteratura così ricca di attenzione all'etica di tutte le forme, laddove sta sotto l'evidenza comune che non vi sia periodo in cui questa sia la disciplina più disattesa.

Questo perchè l'etica dipende dall'ontologia e dalla metafisica di riferimento, così che, se si abdica alle prime, si è tolta allo stesso tempo la forza della seconda.
Mutatis mutandis è lo stesso fenomeno che si verifica quando si pretende di esercitare la Carità fuori o in alternativa alla Verità e alla Dogmatica.
Prima la fede, poi l'azione. In principio era il Verbo, non l'azione, come avrebbe voluto il Mefistofele di Goethe...

Giampaolo

don Camillo ha detto...

Per la Lettrice.

Ai tempi della Gregoriana cioè ai tempi non remotissimi del Seminario, quando ci chiesero di leggere tutti i Documenti in realtà non verificarono MAI se tali documenti fossero stati realmente recepiti. Questo, perchè capitava che sovente specie da chi li leggeva con attenzione e sedeva non a caso a destra del emiciclo gregoriano si alzasse qualche mano per chiedere spiegazioni su alcune imprecisioni del testo Conciliare. Mi ricordo di una discussione feroce (al tempo non capivo niente di ermeneutiche) sulla Dei Verbum e sulle "fonti" della Rivelazione. Vado a memoria (pertanto chiedo scusa per le eventuali imprecisioni) in un paragrafo si parla di FONTI ma nel paragrafo successivo di un'UNICA FONTE: solo Sacra Scrittura. Il professore interpellato rispondeva immancabilmente che le contraddizioni testuali si dovevano risolvere cogliendo LO SPIRITO che aveva mosso i Padri, lo "spirito" era descritto come una specie di esca lanciata nel "mondo protestante" per cercare di rabbonire i Protestanti, per una loro ipotetica conversione. Al tempo capivo poco di tutto e questa soluzione mi sembrava molto ingannevole, ma la Chiesa 15 anni fa era molto diversa e il "trionfalismo" giovannipaolista rendeva tutto accettabile. Ma ora tutti i nodi vengono al pettine.

Per Mic,
Mi spiace aver anticipato ma non ho resistito: mi ha fatto tanto ridere la soluzione cantoniana.

don Camillo ha detto...

Giampaolo,

Il dio Concilio ha il suo Vicario i suoi vescovi e soprattutto i suoi martiri: Cantoni, Morselli, Cavalcoli, Introvigne (il vero manovratore occulto). CONTINUITÀ NELLA ROTTURA, mi hanno detto coloro che si definisce fieramente conciliaristi, e INDIETRO NON SI TORNA.

Anonimo ha detto...

Prima la fede, poi l'azione. In principio era il Verbo, non l'azione, come avrebbe voluto il Mefistofele di Goethe...

e invece, come dice Amerio, è stata operata la dislocazione della divina monotriade.

Cito:
"La fede cattolica dice che l’amore procede dal Padre e dal Figlio. Difatti l’amore procede dalla conoscenza. Quando si dice che l’amore non procede dalla conoscenza si fa dell’amore un valore senza precedenti, invece c'è un valore che precede l’amore ed è la conoscenza. Quindi questo avvaloramento indiscreto dell’amore implica una distorsione del dogma trinitario."

[...]
Vorrei quasi dire che al fondo del problema moderno c’è il Filioque, perché chi nega il Filioque concede il primato, indiscreto e assoluto, all’amore: l’amore non ha limiti, non ha remore; qualunque azione tu faccia “con amore”, quell’azione è buona.

E un nuovo accanimento contro il Cristo, appunto perché il Cristo è la Ragione: il Cristo è la Ragione divina che, incarnata, è una individuata persona storica; il Cristo è la Ragione divina incarnata, individuata.

Se si dice che l’azione vale per se stessa, che l’amore non ha nessuna regola, nessun precetto e nessuna precedenza, si tocca il punto più intimo della nostra esperienza umana, perché noi viviamo per una verità, questa: il fine dell'uomo, secondo il nostro catechismo, è di “conoscere e amare Dio”. Ma prima c'è “il conoscere” e poi c'è “l’amare”, ma il godimento in cosa consiste? In una intellezione, in una visione; alla quale visione solo segue l’atto d'amore.

Questa visione, poi, cresce per un lume soprannaturale, il lumen gloriæ. Quindi, secondo la teologia cattolica, in specie in san Tommaso, la nostra beatitudine è commisurata alla nostra conoscenza: Dio avvalora, innanzitutto, la nostra conoscenza e questa conoscenza, così avvalorata, si infiamma naturalmente.

La questione del Filioque è la radice, e questa inappropriata celebrazione dell’amore è una implicita distruzione del dogma della divina Monotriade: lo Spirito Santo in tal modo non “procede” dal Verbo, ma lo “precede”, anzi: precede tutto. Questa opinione è diventata tanto popolare perché oggi non si dice: « L’azione è buona se è conforme alla regola del Verbo »; ma si dice: « L’azione è buona se è fatta con amore ». Anche nella vita odierna noi pecchiamo quando “vogliamo”, atto volitivo, senza consultare la regola della conoscenza; noi diciamo: “Prima il volere poi il sapere”, sovvertendo l’ordine delle processioni.

E, dopo la resurrezione del Signore, gli Apostoli aspettano lo Spirito Santo che è stato promesso dal Cristo e che è nato dal Cristo. Non è che lo Spirito Santo venga, proceda, dal Padre. No: lo Spirito Santo è mandato alla Chiesa dal Verbo."

DANTE PASTORELLI ha detto...

Giampaolo, tu scrivi sempre cose molto precise e nitide, come si diceva un tempo a scuola, nel contenuto e nella forma.
Quando noi ricordiamo S. Vincenzo di Lerino - quel ch'è stato creduto sempre, dovunque e da tutti - non facciamo che esprimere quel che ben espone p. Lanzetta che conosco di persona. Nessun magistero può esser veramente tale e quindi aver valore vincolante se il contenuto è erroneo o comunque così equivoco nella formulazione da poter esser interpretato erroneamente.
Il soggetto del Magistero è fondamentale, sì', e forse anch'io posso apparir "burocratico" quando chiedo l'intervento definitivamente chiarificatore della suprema Autorità. Io chiedo quest'intervento, ma la mia impressione è che mai verrà perché non si può imporre da ritener definitivo ciò che non lo può essere, salvo formulazione nuova e coerente con la Tradizione. Ma allora non solo il linguaggio dovrà mutare.
Quando la Chiesa vuole ricordarci che certi documenti assertivi son definitivi lo dice esplicitamente, come lo ha detto per il sacerdozio femminile. Ne ho citato i documenti in un articolo che, se non vado errato, ho pubblicato anche qui.

Eruanten ha detto...

@Mic

Infatti il mio parroco progressista mi/ci propina fino allo sfinimento la citazione di sant'Agostino: "ama e fà ciò che vuoi" stravolgendo completamente il significato.

Eruanten ha detto...

Mi correggo:al posto di "citazione" intendo "affermazione".

Anonimo ha detto...

Il problema è che i Papi, a partire da Giovanni XXIII, si sono autoimposti di non definire nulla. Di fatto, è proprio questa la novità più sensazionale del V2, che continua a provocare guasti e disorientamento...

Se proprio questa inaudita novità si va chiarendo ora come il vero programma del CV2, come esplicita volontà negativa, di astensione, ispetto ad un dovere irrinunciabile da sempre, allora, come si fa a considerarlo magisteriale ?
e come si può ancora ritenere quell'astensione volontaria un elemento trascurabile -ININFLUENTE- rispetto alla spaventosa crisi che attraversiamo ?
voi mi chiamerete "pessimista", ma quella decisione inziale, gravissima (tanto più grave quanto più è "glissata" nelle rievocazioni storiche) a me pare determinante per i fatti seguenti, il deragliamento dottrinale che è ad essa CON-seguente: questa terribile inedita novità di non-definire (che va a braccetto col non-correggere errori ed eresie, in modo che possano propagarsi senza freni) si va palesando sempre più come la CAUSA prima e diretta di tutte le derive dottrinali, liturgiche e morali che da anni con crescente lucidità osserviamo e subiamo con frustrazione, impotenti a contrastarle, nella posizione di piccoli fedeli (pecore condotte dove non vorrebbero: parlo per me, ed ammiro chi ha saputo oppore una coraggiosa resistenza all'avanzata modernista, sia nella FSSPX che altrove nella Chiesa); è una realtà arrogante, che ci obbliga all'obbedienza (=adeguamento forzato: o accetti o te ne vai....), mediante una serie di FATTI compiuti e imposti dall'alto (indiscutibili, specialmente la riforma liturgica del 1969), da chi ha il potere di determinare i CAMBIAMENTI che continuamente constatiamo, evidenti, innegabili, se non si vuol favoleggiare di una continuità inesistente col passato); fatti che continuano ad accadere, in palese contrasto -ROTTURA- col passato tradizionale, e si compiono inesorabili, al di là di tante belle PAROLE, che spesso negano l'evidenza del CONTINUO CAMBIAMENTO:
il cambiamento incessante è davanti agli occhi di tutti, ma dall'alto ci dicono che "tutto continua come prima"....e ci obbligano a crederlo, come fosse vero ! (come dogma di fede ?)
Non si tratta di qualche punto: in realtà tutto è cambiato, incessantemente, da 49 anni, e ce ne accorgiamo man mano che ci svegliamo dalla lunga narcosi, e ci volgiamo a ricordare quel 1962. Tutto è cambiato a partire da quel NON VOLER DEFINIRE DOTTRINE ...
Perciò, come rileva don Camillo,
siamo fatalmente immersi nel cambiamento continuo, trascinati e sospinti avanti dalla CONTINUITA' DELLA ROTTURA, della grande novità conciliare, (detta "vento-dello-spirito che soffia dove vuole) sempre avanti, senza sapere dove, senza guardare indietro (tranquilli: la continuità c'è, non fatevene un problema, c'è perchè...basta la parola stessa, basta dirla, come un "apriti sesamo!) basta continuare così, ad avanzare, (senza verificare i nessi col passato)...
...e "indietro non si torna"....
Ester

DANTE PASTORELLI ha detto...

Eruanten. in sostanza: pecca fortiter et ama fortius.
Siamo alla follìa, e non da ora.

Anonimo ha detto...

all'indomani del viaggio del papa in Germania, ho sentito su un tg il vescovo mons. Bruno Forte, che, commentando col cronista il discorso papale ad Erfurt, diceva, pieno di entusiasmo: "Il papa sta portando avanti, nel silenzio, una grande riforma della Chiesa, facendo tutto senza clamore o troppa pubblicità.....lui agisce, in modo sobrio e costante, facendo cose importanti per il bene dei cattolici...."; ma non ha spiegato in che cosa consistesse quella grande riforma attuata dal papa, e me lo chiedevo perplessa tra me, senza capire.....
Stasera, una mia parente mi riferiva di aver sentito a Radio Maria un commento a un discorso del Papa in cui avrebbe rivolto un importante avviso ai cattolici, dicendo che "....il concilio V2 non si può criticare, perchè ha aperto le porte della Chiesa a tutto il mondo, e perciò da questa apertura indietro non si torna...."; mi chiedo: avrà capito bene la povera ascoltatrice ? avrà capito bene il cronista o commentatore del discorso papale ?
qui sul web leggo che la "riforma della riforma" non procede, o che dovrebbe "partire dal basso" secondo alcuni; allora , in che modo il papa sta attuando la sua grande riforma nel silenzio, come diceva quel vescovo ?
e noi, come dobbiamo intendere questo solenne monito:
"Dal concilio indietro non si torna" ?

Ester

Anonimo ha detto...

Quando la Chiesa vuole ricordarci che certi documenti assertivi son definitivi lo dice esplicitamente, come lo ha detto per il sacerdozio femminile. Ne ho citato i documenti in un articolo che, se non vado errato, ho pubblicato anche qui.

E tuttavia, è un cane che si morde la coda, perché è una definitività alla quale la Chiesa ha abdicato, fin da quando ha abbandonato il munus dogmatico. E speriamo che la Provvidenza ci dia un Papa che voglia fare marcia indietro...

Il tuo articolo è qui, caro Dante

DANTE PASTORELLI ha detto...

Sì, ma,quando vuole, è ancora capace di farsi intendere: vuol dire che sa ancora, di quando in quando, esser docile all'azione dello Spirito Santo.

Giampaolo ha detto...

Grazie Prof. Pastorelli per l'apprezzamento. Non La conosco personalmente, ma l'ho sempre letta volentieri e con profitto in questi anni di silenziosa frequentazione della rete.

Anch'io auspico un ritorno al reale ed effettivo esercizio (non so se burocratico) del Munus Docendi da parte del Magistero, ma temo che non faccia parte oggi come oggi dello "stile" espositivo della Chiesa.

Credo e spero che quello che si sta costruendo oggi in questi dibattiti costituirà in tempi prossimi la materia su cui, prima o poi, dovrà pur esercitarsi un pronunciamento definitivo con tanto di anatematismi (le contrapposizioni si stanno facendo troppo evidenti e incompatibili). Certo occorre che si superi questa fase di "desistenza" magisteriale, per usare il vocabolario ameriano.

Purtroppo, nel frattempo, la frontiera da presidiare è quella della resistenza ad un'interpretazione attualistica della Tradizione, quella che, per itenderci, ci dice che Tradizione è ciò che il Magistero dice, per il sol fatto che sia detto dal Magistero, prescindendo dal contenuto della dottrina così esposta.

Tutto questo "conflitto di interpretazioni", che a me suona molto basso impero, è l'effetto di quella desistenza definitoria di cui si diceva sopra.

A suo tempo dai barbari ci salvò, culturalmente intendo, S. Benedetto, e non a caso la salvezza ci venne da un ordine contemplativo; ci occorre una nuova epopea di quel genere, una forza capace di ripristinare il primato della contemplazione, del Vero, della Fede, sulla prassi. Maria prima di Marta non è questione di simpatia, ma di fedeltà evangelica.

Ringrazio voi tutti per tenere alto il fuoco dell'attenzione su questi temi, altrimenti disattesi e per lo più trattati senza la comprensione della posta in gioco.

Cordialità

DANTE PASTORELLI ha detto...

La situazione è tale che non basta un S. Benedetto, oggi o domani.
Forse dovremo aspettare, come Dante - non io! - la venuta del Veltro.

don Camillo ha detto...

Ester,

il regista di questo sfacelo è il demonio, il separatore, colui cioè che ha diviso la Chiesa ai suoi vertici. Ma oltre lui che ha introdotto nella Chiesa un pensiero non cattolico, (con la filosofia modernista), ora ci sono anche i nemici della Chiesa che se prima erano fuori ora sono "dentro" e la tengono in pugno. Da questa morsa non si esce senza un intervento divino.

Forte dice bene, questo Papa è assolutamente costante, il suo pensiero è quello che aveva da giovane teologo, B16 fu quello che contesto pubblicamente san Tommaso al Concilio proprio sul concetto di libertà religiosa... che filosoficamente (non fattivamente) rifiutò la necessità di imporre la forza per far trionfare la Verità. Andando quindi contro una prassi plurimillenaria... altro che ermeneutica di continuità. Come pretendere quindi che ORA cambi idea? I suoi collaboratori che si è scelto la pensano come lui, i suoi allievi idem. Certo diverso è da P6, lui è a suo modo più conservatore, ma conservatore nel senso che conserva TUTTO.

Circa poi il grande pensiero di Amerio, sul Filioque, interessantissimo! Mi ha aperto delle prospettive assolutamente nuove. Anche se l'ho vista inizialmente come una forzatura storico-teologica. Ma vabbè, cara Mic, se mi dai i riferimenti proverò a rileggere il testo nella sua interezza con più attenzione.

compare Turiddu ha detto...

Concordo con don Camillo. Ottima l'analisi di Lanzetta ; pessima quella del disperato don Cantoni , più interessato al riconoscimento ufficiale della sua congrega che alla Verità

Anonimo ha detto...

Ma vabbè, cara Mic, se mi dai i riferimenti proverò a rileggere il testo nella sua interezza con più attenzione.

Cara Ester,
ti metto il link al documento.
Ma Amerio sviluppa bene il pensiero anche in Iota unum. Ti prometto che ti trascriverò i brani più mirati.

Anonimo ha detto...

sarò ingenua,
ma vorrei che qualcuno mi spiegasse che motivo c'è di celebrare i 50 anni dell'evento-concilio, se nessuno lo ha mai spiegato ai fedeli in questo mezzo secolo, e tanti cattolici sono morti senza capire affatto quale peso esso avesse sulla nostra Fede, positivo o negativo, ma ne hanno magari subìto gli effetti di CONFUSIONE e dissipazione della vita spirituale (v. superficialità emozionale dei tanti movimenti, delle loro presunte conversioni, per lo più sentimentali e poco proficue sulla crescita nelle virtù cristiane).
Il mio parroco ha con tono lieto annunciato la grande ricorrenza, e tutti, credo, siamo presi da un senso di timore reverenziale (sapete...si celebra l'anniversario del grande CV2 ecc....questo mitico indefinibile evento a cui inchinarci con ossequio del nostro intelletto, che non è tenuto a conoscerlo, ma solo a riverirlo); ma ecco, quel senso di venerazione, che ci obbligano a coltivare in noi, (spesso insinuando esplicitamente in noi il terrore di chiedere la Messa antica, per non "offendere" il concilio, che ha fatto progredire tanto la Chiesa su nuove vie di comprensione caritatevole verso il mondo ecc....) non sappiamo a che cosa -a quali contenuti venerabili- debba essere tributato.
Così, mentre aspettiamo che ci venga imposto con toni di propaganda questo anno di omaggio al concilio (+ il proclamato "anno della Fede", guarda coincidenza, quasi a significare che finora, dal 33 al 2011, gli anni della Santa Chiesa non siano stati veramente vissuti all'insegna della Fede....), aspetto da parte mia con trepidazione e smarrimento il grande anniversario del 2017, in cui la Chiesa Cattolica sentirà il dovere di fare omaggio a Lutero, celebrando la memoria delle sue tesi eretiche, (oltraggio alla Fede Cattolica e causa di grande divisione nella Chiesa) invece di celebrare il centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima, con i suoi moniti celesti alla conversione, alla devozione al suo Cuore da diffondere nel mondo, e la richiesta, voluta da Dio stesso, della consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato....
Sono incomprensibili (per le persone semplici e ignoranti come me) queste strane tendenze a festeggiare, celebrare e commemorare ciò che è nemico del cattolicesimo, come l'eresia luterana, o eventi che hanno gettato la Chiesa nel caos, come il mitico concilio, che tutti devono ossequiare senza capire, per essere membri della nuova Chiesa conciliare onni-ecumenista, pur vedendone i frutti nefasti.
Ma è tanto difficile discernere se questi festeggiamenti siano graditi a Dio o al suo avversario ? ....certo concordo con don Camillo: l'opera inquinante del demonio, la sua funesta REGIA dell'apostasia dilagante dai vertici (come disse la Madonna, avviso silenziato proprio dalle gerarchie, intenzionate a non allarmare il Gregge) inizia col concilio, anche se era già in agguato da tempo alle porte della Città Santa, ben contrastato fino a Pio XII dal giuramento antimodernista e dalla Messa di S. Pio V, (potentissimo baluardo divino contro tutte le pesti eretiche, compresa la preghiera a S. Michele Arcangelo), e continua ora alla grande, servendosi di tanti uomini di Chiesa compiacenti con le menzogne moderniste; essa è opera talmente potente (con principati e potestà impegnati nell'assalto) che solo Dio la può sconfiggere, non senza l'intercessione di Maria SS.ma, che di fatto è stata snobbata per un secolo, dopo aver offerto il suo misericordioso Aiuto a chiare lettere, attraverso i veggenti di Fatima; sono sempre più convinta che non senza e non prima del Trionfo di Maria si avrà la rinascita della Chiesa, come previde tra gli altri S. Luigi Grignon de Monfort, e come crede, con incrollabile Fede, mons. Fellay, che, al pari di Mons. Lefebvre, ha sempre ritenuto Fatima una cosa serissima, da non poter by-passare senza gravi conseguenze.

Ester

Anonimo ha detto...

cara Mic
credo che volessi proporre il link su Amerio a don Camillo, comunque lo leggerò anch'io molto volentieri, e ti ringrazio dei tuoi preziosi commenti, di cui, in particolare, quello delle 18.45 è ultra-prezioso, illuminante come pochi altri .
Grazie infinite, cara Mic, della luce che ci doni, in questo tempo così tenebroso. Solo Dio potrà ricompensare adeguatamente le persone, tra laici e clero (se ne trovassimo qualcuno nelle parrocchie....) che aiutano le pecore sbandate e tentate di scoraggiamento, o peggio, di scetticismo, rinunciando del tutto a capire e quindi, alla conoscenza che deve venire necessariamente prima della Carità, come hai ben evidenziato, insieme con l'ottimo Giampaolo:
ridare il primato alla Fede, prima la Fede, poi l'azione, e con essa la Carità.
Ester

Anonimo ha detto...

Mic, credo proprio che la casella-spam del blog abbia una speciale simpatia per i miei commenti: il mio precedente è sparito di nuovo....:)

Ester

Anonimo ha detto...

superficialità emozionale dei tanti movimenti, delle loro presunte conversioni, per lo più sentimentali e poco proficue sulla crescita nelle virtù cristiane

direttamente collegata con la ricerca della sensazione 'forte', col sentimentalismo e l'enfasi sull'esperienza scisse dalla conoscenza (quindi dalla ragione e dalla volontà) che precedono il sentimento, che è conseguenza, non causa dell'amore e delle scelte... il sentimento può essere invece facilmente causa di inganno e di sviamento se, come accade nelle realtà citate, viene sganciato dalla ragione e si porta la volontà e quindi la propria libertà all'ammasso, sviluppando un'identità di gruppo piuttosto che un rapporto intimo personale col Signore.
Si dimentica che la comunità ha il suo valore, ma la salvezza è personale, prima ancora che comunitaria.

Sia a questo proposito, che in relazione a quanto detto sopra può essere utile questa riflessione - e anche questa.